Un giorno di fine dicembre del 2013 entriamo in una sala al primo piano di via Sant’Anna, a Vimodrone. Siamo una compagnia teatrale e cerchiamo uno spazio prove.
Questa sala ha le pareti rosse con in azzurro brillante sagome di ballerini, note musicali e bottiglie stappate con tappi volanti. Il palco ha una colonnina in cemento per il dj, il bar è tutto di specchi, mentre al centro della sala dal soffitto pende una palla stroboscopica colorata.
Siamo entrati in una balera, una originale, non rifatta, non ammodernata in stile radical chic. Una balera di un tempo. È il Dancing Everest, la storica balera della Martesana.
Piano piano ci si apre un mondo che conoscevamo solo per sentito dire. La forza, l’energia, i rituali della balera e della musica popolare anni ‘60-’70-’80 ci travolgono e poi coinvolgono, capiamo che in quegli anni è successo qualcosa che noi Millennials fatichiamo a capire. Poi ci tornano alla mente ricordi di musicassette ascoltate dai nostri genitori e aneddoti di amori nati in sala da ballo.
Negli anni ‘90 noi ascoltavamo queste canzoni, che sono state il sottofondo della nostra infanzia.
Nel 2013 ritroviamo questa musica iniziando a gestire, per caso, una sala di liscio nata proprio negli anni ‘60.
Noi volevamo fare teatro, non pensavamo di “fare balera”. È la balera che ha scelto noi, con le sue luci stroboscopiche, i suoi rituali, i vestiti con i lustrini, lo stare insieme in compagnia.
La storia del Dancing Everest, balera della periferia Milanese, si incrocia ed alterna con stralci della Storia di Italia tra boom economico, fermenti politici e sociali, scontri di piazza.
Un monologo che, come un viaggio, ripercorre i Ruggenti ’60, i Bollenti ’70 e gli Evanescenti ’80 attraverso la lente della musica di quegli anni, per mettere a fuoco quell’impulso, quella prorompente spinta della giovinezza verso il cambiamento.