Il ballo liscio in Emilia Romagna ed il fenomeno bolognese della “filuzzi”

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La rivoluzione Francese e il ballo liscio

I bandi generali dello Stato della Chiesa dei secoli XVII e XVIII consideravano esplicitamente il ballo come un circolo al cui centro c’è il demonio, manifestazione quindi da disciplinare rigorosamente limitandone grandemente la libertà. Il ballo poteva avvenire, in luoghi e tempi appropriati, solo se autorizzato esplicitamente dal cardinal legato. I trasgressori (suonatori e ballerini) erano passibili di multe salatissime e di pene corporali gravi e gravissime.

I nobili non avevano problemi ad avere le autorizzazioni necessarie, ed i loro palazzi erano sicuramente luoghi appropriati. Il ballo dei nobili, chiuso nei grandi saloni dei loro palazzi, era quindi di fatto l’unico esistente nella città della Bologna pontificia settecentesca. La musica era suonata da musici colti. Il ballo popolare sopravviveva nelle campagne dove minore era il controllo del potere centrale ed era un ballo, per lo più saltellato, adeguato ai selciati disponibili, che erano ben differenti dai pavimenti dei saloni dei nobili. I musicisti (chiamati suonatori nei bandi) erano illetterati e suonavano “ad orecchio” motivi tramandati di generazione in generazione. Le cose erano destinate a cambiare radicalmente con l’arrivo a Bologna dell’armata d’Italia francese comandata da Napoleone Bonaparte. L’onda della rivoluzione francese eliminò i privilegi della nobiltà e del clero e tutti divennero cittadini, ma soprattutto, per quanto riguarda il nostro tema, portò la cultura musicale a livello popolare.

Le bande musicali dei reparti militari erano costituite da musicisti che sapevano sicuramente leggere, e, a volte, anche scrivere, musica. La sera del 16 dicembre 1796, per festeggiare la costituzione della Repubblica Cispadana, fu illuminata piazza Maggiore, dove erano due orchestre: una di violini, bassi e contrabbassi, l’altra era la banda musicale della Guardia Civica, da poco istituita. La festa finì con canti e balli sotto l’albero della Libertà piantato nella piazza. La Bologna del periodo napoleonico ospitò nei suoi teatri e nei suoi saloni parecchi veglioni e feste di ballo, senza le restrizioni a cui lo Stato della Chiesa aveva abituato, ed in questi balli uno spiccava su tutti: il valzer. L’origine del valzer è ancor oggi contesa tra Francia (alcuni etnomusicologi lo considerano evoluzioni della volta provenzale), Austria (altri lo considerano evoluzione del Landler) e Germania (come evoluzione del Dreher o dell’Allemanda). Se non è certo dove e come esattamente sia nato il valzer, è certo che esso fu introdotto dalle armate francesi in tutto il territorio della Repubblica Cisalpina, in Piemonte e in Liguria (annesse alla Francia). Il valzer per essere ballato richiedeva (come richiede oggi) un selciato liscio, su cui potere fare scorrere i piedi strisciando comodamente. Per permettere il valzer a livello popolare si cominciò ad allestire nelle feste dei palchi in legno con pavimenti ben livellati su cui potere ballare. Il ballo con la caratteristica di essere ballato strisciando i piedi sul pavimento fu chiamato ballo liscio. E’ certo che il termine ballo liscio era in uso già nei territori che furono sotto il controllo francese durante il periodo napoleonico (repubblica Cisalpina, poi regno d’Italia, Piemonte e Liguria) nel primo quarto del XIX secolo. Ne è prova (non è l’unica e quasi certamente non è la più antica) un libro pubblicato a Voghera nel 1828 dall’archeologo Paolo Ricchini, che, discorrendo eruditamente su movimenti di automi meccanici, fece riferimento esplicito al ballo liscio come il valzer, in contrapposizione con altri balli saltati come la monferrina, il saltarello, la tarantella e così via. Non è un caso che nei balli lisci regionali oggi codificati in italia vi siano il liscio Piemontese, il liscio Ligure, il liscio Ambrosiano, il liscio bolognese (o filuzzi) ed il liscio Romagnolo.

La nascita delle sale da ballo

Inizialmente, la liberalizzazione del ballo avvenne in maniera disordinata: le vecchie regole, cadute assieme all’ancien régime non furono immediatamente sostituite da nuove, per cui si organizzavano feste da ballo in tutti i luoghi di aggregazione, comprese bettole, osterie e locande. Nelle feste da ballo avvenivano spesso incidenti, creando disagi sia ai conduttori di questi esercizi, sia ai clienti. Questo fenomeno assunse rilevanza dal punto di vista dell’ordine pubblico, per cui, ben presto, l’Amministrazione Centrale del Dipartimento del Reno della neonata Repubblica Cisalpina prese posizione. Il 5 gennaio (16 nevoso) 1798 il Ministro della Polizia riconobbe la necessità di non permettere Feste da Ballo nelle Bettole e nelle Osterie, ma bensì nelle sole Case particolari, il Padrone delle quali si renda responsabile delle persone, che introdurrà, e degli inconvenienti, che per sua colpa, o negligenza potessero accadere. Il 7 gennaio (18 nevoso) la disposizione venne pubblicata alla cittadinanza. Quindi, non più feste da ballo ovunque e senza regole, ma solo nelle Case particolari il cui proprietario, o gestore, si assumesse la responsabilità per la condotta di tali feste. Queste Case particolari, in seguito, divennero meglio note come sale da ballo balere.

La Restaurazione

La caduta di Napoleone e la Restaurazione (iniziata nel 1814 con il congresso di Vienna) non cancellarono, se non parzialmente, gli effetti della Rivoluzione Francese. La distanza tra maggiorenti ristabiliti nel loro ruolo e popolo, frustrato, ma desideroso di riscossa, era in qualche maniera compromessa; il potere pontificio, assai indebolito dopo Napoleone, era gestito dagli austriaci che governavano di fatto in Emilia e Romagna per conto del Papa. Ciononostante, il ballo nella città rimaneva una disciplina elitaria. Luigi Giovetti, maestro di Danza Educativa Nobile dal 1841 al 1891 si rivolgeva ad una platea ristretta, fatta di conti e marchesi. Il processo di popolarizzazione del ballo ebbe in città una lunga pausa durata con pochi sussulti fino all’unità d’Italia. Il valzer intanto stava avendo una importante evoluzione proprio in Austria con la famiglia Strauss. Johann Strauss (il Padre del Valzer) fu musicista del regime austriaco (sua è la Marcia di Radetzky) ed ebbe importanti ruoli nella corte asburgica. Il figlio, Johann Jr (il Re del Valzer) fu quello che diede velocità ed ulteriore brio al valzer con musiche travolgenti ed innovative (sue sono An der schönen blauen Donau, Geschichten aus dem WienerwaldWiener Blut etc.). Quando ci furono i moti del 1848, in completa contrapposizione con il padre, Johan Jr si schierò con i rivoltosi, contro i forti poteri centrali. Sempre di Johann Strauss Junior sono Revolutions-MarschFreiheitslieder (Canti della Libertà), Studenten Marsch. Johann Jr venne persino arrestato per avere diretto il 3 dicembre 1848 la vietatissima Marsigliese nel locale Zum Grünen Thor, nel quartiere di Josefstadt a Vienna. Tutto ciò generò una insanata lite con il padre, ma soprattutto l’esclusione fino al 1863 del giovane Johann dalla nomina a direttore dei Balli di Corte (K.K. Hofballmusikdirektor). Johann Jr non ebbe invece ostacoli ad avere successo all’estero. Memorabile fu una sua tournée negli Stati Uniti nel 1872 con un concerto al Coliseum di Boston a cui assistettero 100.000 persone (e non c’erano gli impianti di amplificazione del XXI secolo…). La tournée in Italia avvenne nel 1874.

Bologna nell’Italia unita. Il ruolo della Società del Dottor Balanzone

Le musiche di Johann Strauss Jr arrivarono anche in una Emilia liberata dallo stato pontificio (ma per i primi tempi sarebbe meglio dire: occupata dai piemontesi). Il popolo bolognese apprezzò il sapore di libertà e di rottura dai vecchi schemi emanato dalle musiche del rivoluzionario Strauss. I musicisti emiliani, ma possiamo dire con tutta tranquillità, italiani, cominciarono a comporre e a pubblicare su riviste specializzate (esportate in tutto il mondo) ballabili (prevalentemente valzer, ma anche mazurke e polke, ovvero l’intera tipologia di musiche degli Strauss) per mandolino, chitarra e violino, con la stessa quadratura musicale delle musiche di Strauss. Questo è un importante segnale del fatto che i ballabili della seconda metà dell’ottocento erano valzer, mazurka e polka, ovvero i componenti fondamendali del liscio, e che il ballo stava diventando fenomeno popolare. A Bologna, la Società del Dottor Balanzone, soprattutto nell’ambito dei carnevali, fece dell’evento ballo popolare un punto di riferimento importante. Il ballo popolare occupò la piazza della Pace (l’odierna piazza Galvani) durante i giorni del carnevale (soprattutto il sabato grasso) dal 1868 (primo anno di carnevale gestito dalla società del Dottor Balanzone), al 1879, per poi trasferirsi in piazza dell’Otto Agosto, proseguendo i balli anche in periodo quaresimale. La società del Dottor Balanzone realizzò l’importante funzione di coinvolgere tutti gli strati sociali della popolazione di Bologna, compresi i nuovi bolognesi, inurbati dalle campagne per effetto della rivoluzione industriale.

La Filuzzi

Ma i campagnoli diventati cittadini erano abituati ad altri balli, quelli che continuavano ad esistere soprattutto nella montagna bolognese e che erano sopravvissuti alla censura dello Stato Pontificio, prima, e alle novità portate dalla Rivoluzione Francese poi. Erano i balli, prevalentemente staccati, eredi delle alte danze, così chiamate per essere spesso saltellate (necessità, quella di saltellare, quando si ha a disposizione un selciato sconnesso). Nei balli popolari (che poi, quando si trasferirono in piazza dell’Otto Agosto, cambiarono nome e divennero festival) si mescolarono le nuove esigenze dettate dal ballo liscio di valzer, mazurka e polka, con le vecchie figure dei balli staccati: le manfrine, i tresconi, i ruggeri… Nacque spontaneamente un nuovo modo di ballare il liscio, o, se vogliamo, una particolare caratterizzazione del ballo liscio tipica della provincia di Bologna: la filuzzi. Questa caratterizzazione è un fenomeno comune avvenuto in altre parti d’Italia: si veda il caso del liscio Piemontese, del liscio Ligure, del liscio Ambrosiano e del folk Romagnolo, ciascuno dei quali è una caratterizzazione locale del generico ballo liscio importato a suo tempo dalle armate francesi. Gli elementi caratteristici della filuzzi (filuzzi è nome comune di genere rigorosamente femminile) sono:

  • presenza di figure staccate (ereditate dai balli popolari della campagna bolognese);
  • grande velocità delle musiche (soprattutto del valzer) associata a grande dinamicità dei ballerini;
  • predilezione del giro a sinistra, rispetto al giro a destra;
  • ricerca delle acrobazie, fatte di piroettesgambatepivot, etc., ricerca che raggiunge l’apice nei ballli cosiddetti a chinino (polka chinata);
  • rispetto rigoroso della divisione dei brani musicali in parti, ciascuna delle quali deve essere chiusa (dal ballerino provetto) in frullone (una serie di giri in pivot rigorosamente effettuata a sinistra). Il frullone è in qualche maniera il marchio di qualità del ballerino filuzziano.

Negli ultimi anni del XIX secolo, quando era ancora attiva la scuola di ballo di Luigi Giovetti, nacque una società di ballo chiamata “Filuzzi” dalle parte del Foro Boario e pochi anni dopo, nel 1900, erano attive altre due società di ballo, di nome Aida e Aquila, in via del Pratello dove si praticava (e si insegnava anche) il ballo alla filuzzi.

I primi suonatori e ballerini.

Nel linguaggio del XVII ed anche del XVIII secolo, con suonatore si qualificava chi suonava uno strumento musicale per le feste di ballo. Così si esprimono i bandi pontifici, che, nell’elencare limitazioni ed eventuali sanzioni per le feste da ballo, parlano sempre di suonatori e dei loro strumenti (che venivano confiscati in caso di partecipazione a feste non permesse, oltre alla somministrazione di multe salatissime e di pene corporali gravi e gravissime che, se andava bene, si limitavano a tre tratti di corda). I suonatori erano normalmente illetterati, suonavano ad orecchio brani insegnati da suonatori più anziani. Viceversa, coloro che suonavano per i signori e nelle corti, venivano chiamati musici ed erano colti. A Bologna esisteva l’Accademia Filarmonica che si rivolgeva essenzialmente a questi musicisti. La Rivoluzione Francese aveva portato la cultura musicale, che divenne alla portata del popolo, soprattutto con la diffusione di bande musicali, trasformando piano piano gli antichi suonatori in musicisti (ma noi continuiamo e continueremo a chiamarli suonatori), in grado di leggere e scrivere musica. I gruppi di suonatori della seconda metà dell’ottocento vedevano la prevalenza prima di violini e poi di mandolini (accompagnati sempre dalle chitarre). Questo ci viene detto dalla letteratura musicale di quel periodo che vede una grande produzione di ballabili per questi strumenti. A Bologna venne usata spesso una particolare chitarra (nota come chitarpa) che aggiunge alle normali sei corde, altre corde dette bassi volanti, che hanno il preciso compito di suonare i bassi durante l’esecuzione musicale. Questa chitarra è spesso ricordata come chitarra bolognese, facendo pensare che si tratti di esclusiva bolognese, ma così non è: la chitarpa era diffusa in tutta Italia. Ai mandolini si affiancarono gli organetti diatonici (costruiti in Italia dalla metà dell’ottocento). Dei suonatori attivi a cavallo tra XIX e XX secolo sono noti i nomi (in qualche caso, i soprannomi) di Giulio Pizzi (detto il pover Gioli), dei chitarristi Ciccotti, Scipioni, Ivo Anzola e Sanzafodra, e gli organettisti Bernardi, Golfieri e Birunzéin.

Curiosamente, se sono pochi i nomi dei musicisti della filuzzi operativi prima del 1920, sono invece tanti i nomi pervenutici di ballerini attivi già alla fine del XIX secolo, testimoniando, in questo caso, la sudditanza della musica nei confronti del ballo: la musica filuzziana nasce per fare ballare la gente ed i (bravi) suonatori adeguano le loro esecuzioni ai ballerini che sono in pista. Nel 1900 in quelle società, Aida e Aquila, attive in via del Pratello, operava Umberto Bortolotti (Burtluttéin) coadiuvato da Anzléin la Pgnàta, da Morettéin e da tale Grilli. Il ballerino Umberto Bortolotti era originario del Ghisello e fratello del futuro massaggiatore del Bologna F.C. (che nel 1900 non esisteva ancora). Di Burtluttéin sappiamo che ballava assieme a tal Brando non bene identificato (il ballo tra uomini era cosa comune). Questi erano i nomi dei ballerini che dominavano le gare di inizio del ventesimo secolo. Sì, le gare! Gioia e dolore del ballo alla filuzzi, nate assieme alla filuzzi stessa… e naturalmente assieme alle contestazioni dei verdetti dei giudici. Le gare si organizzavano un po’ dappertutto nel centro di Bologna: al Mirasole, alla Gata (oggi via Sant’Apollonia, in antichità chiamata Gattamarza o semplicemente Gata), al Campetto, in S. Giacomo… le gare e la loro spettacolarità contribuirono alla diffusione del ballo come spettacolo. Burtluttéin dominò le gare fino al 1906, anno in cui decise di ritirarsi (giovanissimo, era nato nel 1882) dalle competizioni.

Il tipico ballerino filuzziano era vestito con: calzoni a campana, camicia aperta che lasciava vedere una maglietta a righe sottostante, e, alla cintola, una fascia a colori vivace con nappe. Ballare era dimostrazione di abilità, ed ogni luogo era adatto: i portici del Pratello e di via del Borgo furono teatro di balli filuzziani al suono di organini a manovella, in cui il suonatore poteva accelerare o rallentare a piacimento il ritmo della musica… Nacquero in gran numero in tutti i rioni società di ballo alla filuzzi. L’ingresso per i soci consisteva unicamente nel pagamento di 10 centesimi per il deposito del cappello o della mantelletta (che allora si chiamava tabarréin). I paiazzéin, come venivano chiamati gli studenti (generalmente forestieri) perché usavano portare la paglietta venivano accolti con estrema diffidenza nelle sale da ballo e non potevano permettersi di avvicinarsi alle donne del rione: i loro ballerini, gelosissimi, si trasformavano all’istante in buttafuori! Le manifestazioni dei ballerini filuzziani erano i festival, affollatissimi, tumultuosi e sedi delle competizioni di ballo.

Nel 1906 si imposero due nomi su tutti: Oreste Mazzoli (Urestéin) e Carlo Gaspari (Carluccéin). Vi fu una rivalità tra i due ballerini (con le rispettive tifoserie) paragonabile a quella che vi fu, qualche decennio dopo, tra Bartali e Coppi. Non sempre la rivalità rispettò le regole della convivenza civile e non era infrequente che la gara finisse in rissa. Il festival del 1906 fu vinto da Urestéin (che rimase imbattuto per qualche anno), mentre Carluccéin si classificò secondo. Nuovi ballerini emersero prima della guerra: Neri (il Felino), Gottardo Martini, Torreggiani, Aristide Bianchi (Sticléina), Ugo Draghetti, Alceo Manzoni, Antonio Mazzoli, i fratelli De Maria e Massimo Morini (Muréin). Alcuni di questi (il FelinoMuréin, Draghetti) continuarono a primeggiare anche dopo la guerra. Ballerine note furono la Stella (ballerina di Burtluttéin), la Peppina (Giuseppina, sorella di Uristéin), l’Olghina (ballerina di Carluccéin), l’Argentina, Mariuléin, la Jolanda, la Cesarina (Ginghéina), e la famosa Berta, che, oltre a gestire una casa di tolleranza in via Mirasole, era anche la ballerina del Muréin. Queste ultime tre ballerine rimasero ancora sulla breccia nel dopoguerra. Le figure (oggi si dice, ma il significato è lo stesso, figurazioni) del ballo alla filuzzi hanno nomi curiosi. Del frullone già si è detto, poi ci sono gli striscini, i passettini i saltolini, e la scaletta (eseguiti in coppia), i denzi (nome di origine sconosciuta), i mezzi denzi e le piroette (eseguiti staccati). Nell’ultimo dopoguerra furono introdotti i passi francesi. Tutte figure di elevata dinamicità e che richiedono un rispetto estremo del tempo musicale.

Angelo Lamma e la Polka a Chinéin.

Anzléin la Pgnata, uno dei ballerini del Pratello attivo nel 1900, era il soprannome di Angelo Lamma, soprannominato Pignatta perché era uomo di piccola statura e abitualmente appoggiava le mani ai fianchi in maniera tale che le braccia assomigliavano ai manici di una pignatta. La famiglia Lamma abitava nel Pratello. Angelo Lamma era sposato con Gaetana Rimondini e da questa ebbe quattro figli: Amedeo, anch’egli soprannominaoto Pignatta, che era diventato un alias del cognome Lamma, nato il 29 maggio 1901, Fernando, nato il 21 febbraio 1906, Otello, nato il 29 settembre 1910 e Giordano, che nacque nel 1914, quando suo padre Anzléin era già morto. Possiamo quindi ipotizzare che l’anno di morte di Anzléin fu il 1913. Morì molto giovane. Si ignora la causa della morte, ma si sa che viveva in maniera piuttosto sregolata e frequentava assiduamente i locali e le osterie del Pratello. L’anno di nascita di Anzléin potrebbe essere intorno a qualche anno prima del 1880. Amedeo Lamma, anch’egli ballerino filuzziano, fu assassinato dai fascisti il 16 dicembre 1944 in piazza San Francesco (di fronte alla chiesa) e qui oggi una lapide murata ricorda questo tragico evento. Pure Fernando ebbe i suoi problemi con il fascismo, problemi che riuscì a superare fortunatamente senza troppi danni. Raggiunse anch’egli notevole fama come ballerino e non solo nelle balere del Pratello. Giordano ebbe vita più tranquilla, mentre Otello fu pure lui perseguitato politico durante il fascismo, ma riuscì ad salvarsi da diversi tentativi di cattura o peggio. Di Anzléin ballerino filuzziano si sa, dalla testimonianza della moglie, Gaetana Rimondini, che riusciva a ballare con il suo ballerino (ignoto) la polka a chinéin sui tavoli di marmo delle osterie del Pratello! Il ballo tra uomini era comune nel periodo a cavallo tra XIX e XX secolo, sia per la diffusione di ambienti di aggregazione tipicamente maschili, legati alla rivoluzione industriale (i dopolavoro), sia per il fatto che le donne che ballavano erano poche rispetto agli uomini, a causa di una emancipazione ancora da venire. La polka a chinéin è un modo di ballare acrobatico, che prevede che almeno una parte di polka sia ballata in frullone, con i ballerini in posizione chinina. La parte è sinonimo, nel linguaggio della filuzzi, di frase musicale, che nella polka filuzziana dura, dall’inizio alla cadenza, circa 15/16 secondi, impiegando esattamente 16 misure (o battute) musicali). Il frullone prevede che per ogni misura musicale i ballerini facciano un giro completo rigorosamente a sinistra su due passi. Una parte in frullone significa quindi che la coppia di ballerini compie 16 giri (a sinistra) a chinino (con le ginocchia piegate ad angolo retto) al ritmo di un giro al secondo… insomma una specie di trottola.

L’evoluzione della musica filuzziana: il Quartetto dell’Allegria e Leonildo Marcheselli.

L’organetto diatonico non soddisfaceva completamente le esigenze degli ascoltatori ed incominciò l’evoluzione che portò in seguito alla moderna fisarmonica. A Bologna venne compiuto un importante passo in questa direzione quando nel 1906 il liutaio Ettore Biagi (1872-1954) cominciò a costruire organetti, dopo avere imparato il mestiere dall’artigiano romagnolo Farinon di Lugo. Nacque l’organetto bolognese. La famiglia Biagi si dedicò alla costruzione e all’evoluzione tecnica dell’organetto, dapprima semitonato o diatonico (lo stesso bottone produce suoni diversi a seconda del movimento in espansione o in contrazione del mantice) poi unitonato cromatico con Attilio Biagi (1897-1978). Su iniziativa dello stesso Attilio Biagi, nacque il Quartetto Bolognese dell’Allegria (attivo tra gli anni ’20 e gli anni ’50), composto da tre suonatori di organetto e da un chitarrista. Le musiche sono prevalentemente quelle di ValzerMazurca e Polka, con poche eccezioni, tra cui il tango. Il Quartetto Bolognese dell’Allegria incise per la Durium tra gli anni 1932 e 1954. Verso gli anni ’20 un giovane manovale, nativo di Longara di Calderara di Reno, spinto dalla passione per la musica, prendeva contatto con il maestro Tonelli e con l’organetto bolognese dei Biagi. E’ con lui che la musica filuzziana raggiunse la sua più completa espressione: Leonildo Marcheselli, oggi spesso ricordato come il papà della filuzzi, ma che sarebbe più corretto chiamare il figlio (prediletto) della filuzzi.

La filuzzi tra le due guerre.

Il primo dopoguerra fu per la filuzzi un periodo di importante maturazione. Finiti i tempi pionieristici dei ballerini come Anzléin la Pgnata e Burtluttéin, fu la musica che raggiunse progressivamente la maturità consolidando le caratteristiche tipiche della musica filuzziana, con l’affermazione dell’organetto bolognese, invenzione di Attilio Biagi, e l’esclusione del clarino dai gruppi musicali filuzziani. Il gruppo musicale filuzziano era essenziale, spesso ridotto a trio: organetto (o fisarmonica), chitarra e contrabbasso. Leonildo Marcheselli fu nello stesso tempo il risultato ed il motore della maturazione di questa musica. Qualche episodio tutt’altro che edificante pose ancora una volta nel mirino dei moralisti il ballo e le sale da ballo, “luogo di perdizione e di corruzione” e ci furono proposte di chiusura di tutti i baladur (luoghi dove si balla, balere). Uno degli episodi che destò più scalpore fu quello del Club Reale, in via Porta di Castello al numero 2, nel 1926. Questo aveva il sinistro soprannome di Scannatoio: era un dancing che mascherava una notevole attività di prostituzione in cui venivano coinvolte anche minorenni. Il 3 gennaio 1926, alle 17:30 un gruppo di agenti irruppe nel locale (fatto da alcuni salottini ospitali e da sale da ballo). Furono sorprese circa 400 persone, di cui 150 “dame” con età comprese tra i 12 ed i 18 anni (!), alcune notissime gigolettes e 250 “cavalieri”. Parecchie di queste persone furono sorprese in situazioni ed attggiamenti tali da non lasciare alcun dubbio sulle vere attività del Club Reale. Il Club Reale fu sostituito da una onesta sala da ballo, ricordata da tutti i balerini e suonatori filuzziani: l’Umbersetto.

La filuzzi nel dopoguerra.

La prima cosa da comprendere è il clima nell’immediato dopoguerra: Bologna e i bolognesi si riaffacciavano alla vita dopo 5 anni di guerra, gli ultimi due dei quali videro 94 (novantaquattro!) bombardamenti devastanti. C’era una voglia estrema di tornare a vita spensierata. Il ballo era una forma semplice ed economica in cui tutti si potevano divertire. Le sale da ballo fiorirono dappertutto. A Bologna nel dopoguerra si ballava veramente dappertutto! Nelle case private (con i 78 giri), nei cortili, e, naturalmente, nelle sale da ballo. Si ballavano i moderni sull’onda delle musiche portate dai “liberatori” americani e, ovviamente, si ballava alla filuzzi. Nelle sale da ballo si seguivano sequenze precise: tre pezzi e poi una pausa: il riposino che permetteva di rifiatare un attimo (suonatori e ballerini) e ai camerieri di servire qualche consumazione. Poi altri tre pezzi ed un’altra pausa, e così via. I pezzi erano in sintonia tra di loro: tre valzer, tre mazurche e tre polche… poi si passava di solito al tango, che fa parte in qualche maniera del mondo della filuzzi. Dopo i tanghi, c’era di solto il valzer lento, qualche pezzo lento magari a luci soffuse, qualche foxtrot, il boogie-woogie… e poi daccapo con la filuzzi propriamente detta.

Si ballava dappertutto, in locali dal nome spesso bellissimo: in periferia si ballava al Cigno Bianco in via della Pietra, al Drago Verde nei pressi della Ducati sulla via Emilia Ponente, al Florida (che era il cral dei tramvieri) in via del Saliceto, al famoso Gatto Nero sotto il cavalcavia di San Donato, al Quarto di Luna alla Pescarola, al Verde Luna (si ballava alla filuzzi e si mangiavano ranocchi), in via della Guardia, vicino al Pontelungo, al Vallereno in Santa Viola (chiuso da poco), al Ronzani in via delle Lame, alle Fonti di Corticella, all’Arizona in via Mondo, al Castello d’Argento in via Massarenti, al Re di Quadri in via Agucchi, poi c’era le Colonnine (in via delle Scuole a Borgo Panigale), il Pino Solitario (di fronte all’Ospedale Maggiore), il Tre di Cuori (in via Speranza), il Sandalo d’Argento … In via della Birra c’era l’Ala Azzurra, anche questa chiusa da poco, presso il Circolo Lorenzoni. In collina sorsero la Fontanina e la Capannina fuori San Mamolo e Le Fonti di Casaglia a Casaglia. Una balera all’aperto in via Galletti era La Lucciola, che ebbe grande successo. Ci fu la Cicala, il Pappagallo, la Casina delle Rose, oltre Casalecchio, gestita da Nino Lambertini e alla Cricca si ballava al Parco Verde, mentre in via del Lino, presso lo Stadio, si ballava al Cral Bastia, conosciuto anche come Giardino delle Rose. Nei pressi dell’ippodromo all’Arcoveggio si ballava al Poliski e non si può non citare la Sala Sirenella, lo Chalet dei Giardini Margherita, l’Arsenale (a porta Castiglione), il Camaroun (a Ozzano dell’Emilia, chiuso nel 2019, malgrado ancora frequentatissimo) … e la lista è tutt’altro che completa! In centro si ballava al Garden di Gino Pardera a porta San Donato, si ballava al Settimo Cielo, in un palazzetto all’interno dei giardini della Montagnola. Il Belletti appena fuori porta San Mamolo fu uno dei primi locali che riaprirono le danze dopo la guerra. Si ballava all’Oasi in Strada Maggiore, al Trocadero in via Maggia, nel locale che oggi ospita la palestra del liceo Minghetti. Sotto al cinema Manzoni c’era il Vallechiara, particolare per avere una colonna al centro ed il pavimento in pendenza, così che fare il frullone (soprattutto quando si doveva fare in salita) creava problemi anche ai ballerini esperti; in piazza Malpighi c’era la Terrazza Paradiso (oggi è rimasta la terrazza, di fronte al portico di San Francesco, ma naturalmente non si balla più). Si ballava in sale dentro a palazzi come il palazzo Bentivoglio. Si ballava sopra al cinema Ronzani, si ballava in via Rizzoli al Migliorini, in vicolo Broglio alla Lanterna Verde, in via Altabella alla Tavernetta, in via Caduti di Cefalonia all’Otto B. Famosa era anche la Tana del Lupo in via Santa Caterina, dove si è continuato a ballare alla filuzzi fino agli anni ’70.

I locali da ballo potevano essere classificati come balere, dove si ballava quasi esclusivamente filuzzi, popolari, dotate dell’essenziale: pista, sedie attorno alla pista e spazio per i suonatori; sale da ballo: più raffinate, con i tavolini ed i camerieri per le consumazioni ed i Night Clubs. Esempio di balera era il Ronzani, soprannominato popolarmente Cipollon… non è del tutto chiaro se questo soprannome fu dato al Ronzani perché frequentato tipicamente dalle domestiche che lasciavano una evidente scia odorosa di soffritti, o perché in tale locale si cipollava più facilmente che altrove… o per tutte e due le cose insieme! Il Settimo Cielo alla Montagnola è un esempio di sala da ballo. Esempio classico di Night Club era l’esclusivo Esedra, ma altre sale da ballo si trasformarono nel corso della loro esistenza in Night clubs: tra queste la Lanterna Verde, la Tavernetta e l’Otto B. A Bologna si ballava davvero dappertutto! Alcuni locali, come il Garden, alternavano serate per la filuzzi e serate per i cosiddetti moderni. Altri locali si fecero una certa fama… al Gatto Nero, per esempio bisognava comportarsi in una certa maniera se non si era degli abituali frequentatori del locale: meglio non chiedere di ballare alle ragazze per non incorrere in problemi con i loro partner abituali, gelosissimi. Lì c’era anche il biliardo… e non di rado i ballerini si fermavano, una volta che l’orchestra aveva staccato e tutti se ne erano andati, per fare qualche partita… con banconote da 1000 lire nella buca (quelle banconote grandi come fazzoletti da naso). Qualche volta si tornava a casa con le tasche piene di soldi, ma altre ci si vedeva requisita la bicicletta come pegno per pagare i debiti di gioco…

Ballerini come Neri Felino, Massimo Morini Muréin e Ugo Draghetti continuarono la loro attività dopo la guerra: il 6 giugno 1945, un mese e mezzo dopo la liberazione, con Bologna ancora piena di macerie, presso l’Arena del Corso, un cortile-giardino all’interno di un palazzo in via Santo Stefano n.56 si rappresentò la rivista “Ed ora viene il bello” di Mario Biancini con musiche del maestro Aldo Laurenti: vi prese parte anche la coppia FelinoMuréin e lo spettacolo ebbe un forte successo e le repliche furono numerose. Massimo Morini e la Ginghéina parteciparono qualche anno più tardi alla rivista “Ti di Giolia, te?” al teatro Duse, proponendo le figure di ballo della filuzzi e raccogliendo grande consenso del pubblico. Accanto ai ballerini veterani si affiancano i nuovi: Bibi Fava, Giorgio Zaniboni, Governatori, Lambertini, Dado Ferri (il Pulisman, vigile urbano), Zanasi, Cecchini, Passerini, Aletti, Ezio Scagliarini (Scaiaréin), Giuanéin, Duilio Conti (La Duilia, ballava da donna), Floriano Bertoncelli, Nino Masi, Ottavio Manuelli, Dino Venturi… Tra le ballerine vanno ricordate: la Jolanda, la Maria (che vedeva da un occhio solo), la Berta, che gestiva una casa di tolleranza in via Mirasole, Gianna Bernagozzi, Dolores Mazzoni…

Tra i musicisti vanno ricordati, attivi negli anni 70, oltre a Leonildo Marcheselli: Cesco Paselli, Amleto Parisini, Leonida Poluzzi, Romano Merighi, Amedeo Fanti, Arnaldo Bettelli, Ennio Golinelli, Giorgio Valicelli, Davide Vanelli, Dino Lucchi, e altri ancora (l’elenco è lungo), ma soprattutto Carlo Venturi e Ruggero Passarini. Stupefacente virtuosista della fisarmonica il primo, meraviglioso musicista filuzziano il secondo, con una sensibilità eccezionale per chi era in pista a ballare, perfetto esponente della musica di qualità funzionale al ballo.

Origine del nome filuzzi.

Sull’origine di questo curioso nome furono fatte diverse ipotesi. Una delle ipotesi più accreditate finora è quella secondo cui filuzzi era soprannome dei primi ballerini alla filuzzi, così chiamati perché piombavano nelle balere dove non erano conosciuti, si esibivano in alcuni balli acrobatici uomo-uomo perché non potevano importunare le (poche) ragazze presenti, dopo di chè, così come erano arrivati se ne filavano, via, da cui filuzzi.

Altre ipotesi parlano di un personaggio, il signor Filuzzi, che sarebbe stato, a seconda della fonte, direttore della Sala Sirenella, oppure grande ballerino. Ma un controllo all’anagrafe dimostra che non esiste un cognome del genere in tutta l’Emilia Romagna. Placida Dina Staro, fu probabilmente la prima ad associare filuzzi ai filò. I filò erano ambienti di aggregazione (oggi completamente scomparsi). Per capire di che cosa si tratti dobbiamo immaginare le campagne negli inverni del XIX secolo. Non c’era elettricità, i centri abitati vicini erano lontani, alle cinque del pomeriggio era già buio ed era freddo… cosa facevano gli abitanti della campagna in quelle situazioni ? Dove e come passavano il tempo ? Le attività invernali erano essenzialmente quelle delle donne che filavano (lana o canapa a seconda dell’economia della zona), che si radunavano nei posti più caldi che normalmente erano le stalle (scaldate dagli animali) o gli essicatoi per le castagne. In questi luoghi si radunava tutta la comunità locale: le donne, giovani ed anziane, a filare, i giovani a fare il filo alle filatrici più giovani sotto gli occhi attenti delle madri (da cui il vocabolo filarino), i vecchi a raccontare le favole ai bambini e qualche giovane a suonare con qualche strumento la musica imparata da chi lo aveva preceduto, incitando altri a ballare. Nel XVIII e XIX secolo, nella parte dell’Emilia ad occidente di Bologna (Modena, Reggio, Parma) con il vocabolo filozz si intendeva proprio vegliatrebbio intrattenimentotrastullospasso … ander a filozz a Parma significava andare a veglia. A Modena lo stesso significato aveva ander in filozz. Da filozz a filuzzi (italianizzazione di voce dialettale, fenomeno estremamente comune nella lingua bolognese) il passo è breve. Il vocabolo nel XIX secolo probabilmente tracimò dal Frignano nella valle del Reno lungo la linea del Vergatello, arrivando a noi con il suo significato originale, quello di divertimentotrastullo spasso. Quello che è il ballo alla filuzzi, nato con il carnevale della Società del Dottor Balanzone.

Conclusione

Qui si è descritto l’evoluzione del liscio con particolare riferimento al liscio ballato a Bologna prendendo spunto dai personaggi di spicco che ne sono stati emblema. Naturalmente la filuzzi non è fatta solo di campioni e di gare, ma ha una profonda base di coinvolgimento popolare che è rimasto forte almeno fino al secondo dopoguerra. La gara era un evento di spettacolo a cui il pubblico accorreva numeroso. Forse la discontinuità generata dalla guerra, alla fine della quale c’erano vecchi ballerini che continuavano a ballare alla filuzzi e ragazzi che non avevano mai ballato, cresciuti sotto i bombardamenti e che furono attratti inevitabilmente dai nuovi balli d’oltre oceano, fu causa di una graduale e progressiva perdita di interesse del pubblico bolognese verso la filuzzi, senza tenere in considerazione la perdita di valore che in generale hanno avuto i luoghi di aggregazione e le attività connesse, a causa delle nuove tecnologie che hanno alterato le attività un tempo chiamate di svago, ma che oggi chiamiamo di entertainment. Va aggiunto anche l’apporto non sempre positivo delle scuole di ballo, che, per la maggior parte, hanno codificato il ballo liscio livellando, uniformando e standardizzando (creando una disciplina, il liscio Nazionale, adatto più alle competizioni che alle sale da ballo e al divertimento) sopprimendo di fatto le caratteristiche della filuzzi. Ma le competizioni di oggi non hanno la base di partecipazione popolare che avevano i festival di inizio novecento. D’altra parte non è obiettivo primario delle scuole di ballo valorizzare e conservare la tradizione.

Ringraziamenti
Devo ringraziare:
Antonio Stragapede, chitarraio, come egli ama definirsi, in realtà grande musicista, colto e umile, che da tempo con il suo progetto Osteria del Mandolino, studia e ripropone i ballabili dell’Ottocento. Parecchi contenuti di queste note (che egli ha condiviso e rivisto prima della pubblicazione) non sarebbero esistiti senza il suo contributo.
Angelo Lamma, nipote di Anzléin la Pgnata e figlio di Otello Lamma che ha raccontato quanto sua nonna, Gaetana Rimondini, tramandò.
Ivano Santucci, nipote di Fernando Lamma, che ha permesso di completare le note sulla famiglia di ballerini filuzziani Lamma.
Ermes Scagliarini, figlio di Ezio Scagliarini, Scariaréin, famoso ballerino filuzziano del dopoguerra. Ermes è la fonte di tante informazioni legate ai ballerini del dopoguerra, nonchè gentile fornitore di buona parte delle foto pubblicate.
Tutti gli autori dei libri che sono stati di supporto a questo lavoro.

Il testo è tratto dal sito Storia e Memoria di Bologna.

Galleria storica

Piazza della Pace o del Pavaglione durante il ballo popolare del carnevale del 1875. Disegno del signor Luigi Serra di Bologna.

Tarscon

Statuto del Circolo artistico bolognese

Localizzazione:

Polka Chinata alla Sala "Stabat Mater" dell'Archiginnasio (Bologna)

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Circa l'autore

Carlo Pelagalli

Nato il 25 novembre 1953 Laurea in fisica nel 1977 con 110/110 e lode Ho lavorato come informatico / network in G.D SpA fino al 2016. Ora in pensione. Appassionato storico dilettante (nel vero senso della parola). Ho scritto tre libri sull'odonomastica bolognese (sta per uscire il quarto ed è in cantiere il quinto) con un progetto che si chiama "Origine di Bologna". Appassionato di filuzzi di cui ho approfondito gli aspetti storici. Collaboro da diversi anni con il Museo Civico del Risorgimento di Bologna sul cui portale "Storia e Memoria di Bologna" ho scritto molte pagine (più di seicento schede)l In particolare ho scritto sul portale di "Storia e Memoria" una pagina sul Liscio in Emilia e Romagna ed il caso della filuzzi bolognese": https://www.storiaememoriadibologna.it/il-ballo-liscio-in-emilia-romagna-ed-il-fenomeno-b-2126-evento prendendo in considerazione, in particolare, la fase delle origini (smitizzando la discendenza dall'Austria) del ballo, delle musiche e di un accessorio importante, ma troppo stesso dimenticato da chi ha scritto storia sul ballo: le sale da ballo. Ho un sito (in fase di ristrutturazione, ha grande necessità di essere aggiornato): www.lisciobolognese.it.

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